STORIA DI AFRAGOLA
fin dall’antichità è strettamente legata a quella del suo capoluogo cioè Napoli seguendone le sorti fino a quanto essa è divenuta un comune autonomo sotto il profilo amministrativo. Le leggende del luogo attribuiscono l’origine dai Normanni. La tradizione infatti vuole che la Città sia sorta per opera del re normanno Ruggero II, detto il sanguinario, famoso per il suo crudele falcone, che amava scagliare sui villani meno ubbidienti, altro che colomba docile.
La legenda dell’origine normanna, è stata, nel tempo messa da parte grazie ai tanti ritrovamenti archeologici che dimostrano e datano le origini di Afragola ad epoche molto più remote e antiche.
Tombe appartenenti a necropoli opicie del VI e VII secolo a.C. e successive osco-sannitiche del IV – III secolo a.C., ed ultimamente ritrovamenti archeologici micenei rinvenuti durante gli ultimi lavori della TAV, stanno nuovamente ridisegnando la cronologia di questa terra, teatro, sicuramente, di battaglie e di vita, espressione di un popolo sicuramente antico come il nostro.
AFRAGOLA OPICIA E OSCOSANNITA
Intorno al VII secolo a.C. il territorio afragolese era composto da una compatta vegetazione mediterranea . Verso est la macchia si impaludava per i continui straripamenti del fiume CLANIO. Un corso d’acqua molto irregolare che nasceva dai monti intorno all’attuale Nola, formando numerosi piccoli fiumiciattoli chiamati lagni o lavaroni. Questo sfociava al mare presso l’antica Liternum e faceva confondere i suoi straripamenti con altri piccoli e tumultuosi torrentelli quali il RIULLO, il Gorgone, il Mefite, il Cassano ed il Badagnano, che era in definitiva, quello che più riguardava il nostro territorio. Intorno a questi irregolari corsi d’acqua si formavano radure semipaludose di canneti e rovi, insieme a macchie d’acacia e dalie, e prati di papaveri, gigli e viole, da cui il Clanio prende il nome. E’ qui che vennero a stanziarsi i primi Opici, il terreno fertilissimo incoraggiava il loro sforzo e l’abbondante pastura nutriva greggi e buoi. Innalzarono con fede le loro capanne con grandi tronchi e travi di legno. Di spiazzo in spiazzo organizzarono la loro sussistenza familiare concludendo patti che regolavano la vita tribale. Due erano le principali feste degli opici: la prima quella del solstizio di primavera e la seconda quella del ringraziamento alle Matres Matutae, nel periodo del solstizio d’estate il Meddix sacrificava alla deità, piccole maialine, e grassi capri, poi, ognuno, dopo la cerimonia se ne cibavano. La Mater Matuta, che successivamente fu chiamata Flora o germinatrice era ritenuta dagli opici “fata” d’ogni manifestazione della natura. Gli opici, come gli osci e i sanniti consideravano la morte come la fine di un ciclo naturale, ed il corpo, esangue, materia da restituire all’originaria madre terra. Nella sepoltura venivano poste poche e semplici suppellettili che servivano a far riconoscere l’estinto alla dea attraverso sia gli attrezzi del suo lavoro che quelle appartenutagli. L’arredo sepolcrale era costituito principalmente da un grosso vaso che rappresentava l’omaggio devozionale dovuto alla terra essendo quell’oggetto, simbolo della ricezione delle messi. Gli opici, come poi gli osci, coerentemente con la loro concezione immanentista, usavano deporre le salme in posizione simile a quella fetale prenatale. La salma era posta sul lato sinistro con il cuore alla terra e le ginocchia piegate al petto; le braccia, pur esse piegate, aderivano al tronco del corpo. Tale posizione è documentata dai ritrovamenti sepolcrali che mostrano chiaramente la posizione del teschio rivolto sulla terra Le pareti delle prime fosse funerarie opicie sono quasi del tutto inconsistente così come la copertura della stessa fossa fatta di sottili selci. Lo scopo era quello di portare alla mineralizzazione del cadavere nel più breve tempo possibile. Successivamente però, essi, inizieranno a difendere la sepoltura e, la fossa, sarà contenuta da una parete spesso di tufo e ricoperta di lastre laviche.
Ritrovamenti opici sul nostro territorio sono attestati da una serie di rinvenimenti tombali scoperti in località arena e camposantiello vecchio. Questi sepolcri sono stati fatti d’oggetto di scempio da parte di poco accorti tombaroli Purtroppo l’archeologia ufficiale, non ha dato nell’attuazione dovuta a quest’aspetto, ritenendo d’effimero ordine stabilire la diversità dei sepolcreti quando, invece, è proprio da questo fenomeno che si può leggere attentamente l’evoluzioe dagli ignari contadini spesso delusi dalla pochezza venale degli arredi funebri. Altre tombe chiaramente del periodo più antico furono ritrovate durante gli sterri condotti per la costruzione delle case bracciantili in Via Sicilia e allorché furono scavate le fondamenta della cappella madre dell’attuale cimitero, nel 1882. Sia le une, che le altre, furono occultate per non arrecare pregiudizio alle opere da edificare. Molto di più hanno interessato,
invece , i ritrovamenti tombali classificati osco-sanniti e fatti risalire al IV secolo a.C., ed epoche successive. Molto note restano quelle scoperte all’inizio dello scorso secolo in contrada regina all’arcopinto e quelle successivamente ritrovate nei siti cantariello e cimitero. In queste zone fu pure rinvenuto parte di una villa romana con annessa piscina e depositi. Nella stessa area vi è stato anche il ritrovamento della celebre tomba a doppia cassa, oggi esposta al museo nazionale di Napoli come fra le più belle e significative del periodo. Già settanta anni fa il nostro conterraneo ERNESTO COCCHIA, grande studioso archeologo, antropologo d’ottima fama si esprimeva con amarezza sul ritardo culturale con cui si affrontava la lettura degli antichi reperti campani che dall’inizio dello scorso secolo venivano sempre più copiosamente alla luce un po’ da per tutto ma principalmente proprio sull’area capuana e atellana compreso il nostro suolo. Tutti questi ritrovamenti dimostrano quindi che il territorio afragolese era anticamente abitato e che stanziamenti umani si sono succeduti ininterrottamente a partire da un’epoca che potremmo definire arcaica. Detto questo tententeremo ora , coerentemente di ricostruire la nostra vera storia di popoli servendoci , come per altro già stiamo facendo, del racconto storiografico e dell’archeologia , ma anche della geofisica , dell’orografia , e della toponomastica e dell’agiologia per quanto quest’ultima disciplina, a volte, per eccesso di zelo, sia stata trattata in modo da renderla fallace. Troppo spesso, l’erudizione tomista, ha inquinato le vicende passate con trattazioni parziali e non ancorate a generali contesti storici. Ciò ha prodotto degli assunti categoricamente espressi incuranti di lasciare ai posteri un retaggio distorto e spesso falso. E’ il caso della trattazione storica finora svolta sulla nascita della comunità afragolese che si è voluta fissare intorno XII secolo nonostante le evidenti tracce di insediamenti risalenti a periodo molto più antichi.
Quella versione data da alcuni di formazione clericotomista tipo il De Stelleopardis fa falsificato la storia della nostra Afragola, rendendola, così, amorfa ed inamata dai conterranei che non si riconoscono assolutamente nella genia normanna. Diversa, invece, è la genesi e lo sviluppo della nostra comunità come diverso è lo spiritualità che ci deriva dal suo passato.
Afragola, come abbiamo avuto modo di constatare, nasce in tempi diversi da quelli comunemente sono stati finora indicati dalla storiografia paesana. Nasce lentamente, ad iniziare dai primi insediamenti opici intorno al VII, VI secolo a.C. Successivamente sorse sul nostro territorio l’antico acquedotto atellano edificato dagli etruschi a cui seguì quello Giulio nella sua parte orientale. Le antiche famiglie opicie si ramificano così intorno a queste opere che assicuravano loro anche un più facile approvvigionamento idrico. Tracce di questi insediamenti è data anche dalla toponomastica cittadina. Vi fù infatti un antichissimo villaggio di Archola nella zona orientale del nostro antico territorio ed un villaggio dell’arcopinto, in quella occidentale, ma vi fu anche il Vicus ad arco in quella mediana. Vicus è riferito, in latino, ad un agglomerato di persone e non ai posteriori vicoli ciechi . Di antichi vicus la toponomastica afragolese ne ricorda poi molti altri come il celeberrimo Casavicus da casa (piccola abitazione) ed appunto vicus; Casavicus poi casuobboco è l’attuale rione San marco. Ma vi si ricorda ancora il Vicus novus poi viconuovo situato nella stessa zona e che non è affatto un vicolo cieco, un vicus silicium l’antico villaggio del salice; si ricordano ancora vicus patronimici come quello detto in seguito vico o’ ubriacone, dei Fiaschiello, e cuculo, cazzarola e Lanzano.
Oltre che intorno all’antico acquedotto atellano, gli spiazzi opici sorsero anche tutto il corso dell’antico torrente Badagnano poi detto Arena. Questo antichissimo torrente , oggi del tutto scomparso ed infognato, proveniva dalle campagne oltre il sito detto di Padragone e scorreva per l’attuale via Alighieri fino allo slargo oggi di piazza Santa Maria d’Ajello dove deviava per la Pigna scomparendo nel sottosuolo delle grotte. Riappariva di li innanzi presso il Piscinario, così chiamato proprio perchè fungeva da grande serbatoio scoperto delle acque del Badagnano.
martedì 28 novembre 2006
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